Per i familiari di cittadini dell’Unione Europea cade il requisito dei dieci anni continuativi di residenza ai fini della fruizione del benefico dell’assegno sociale

Come noto, l’art 20 del DL 112/2008 ha introdotto il requisito dei dieci anni di residenza continuativi in Italia ai fini del diritto all’assegno sociale di cui all’art. 3 comma 6 della L 335/1995.

Il Tribunale di Brescia ha riconosciuto che tale requisito si pone in contrasto con il principio di parità di trattamento – operante nell’ambito di applicazione del Trattato –   tra cittadini italiani e familiari stranieri di cittadini UE,  previsto dall’art. 19 del d.lgs 30/2007 (attuativo della direttiva 2004/38/CE) ed esteso, ex art. 23 del medesimo d.lgs., ai familiari di cittadini italiani.

Infatti nel campo di applicazione del Trattato, rientra pacificamente la materia della sicurezza sociale e in quest’ultima, per espressa previsione dell’art 3 c. 1 lett d) del Regolamento Ce 883/2004, rientrano le prestazioni di vecchiaia e pertanto anche l’assegno sociale (trattandosi di beneficio erogato ai soggetti con più di sessantacinque anni di età).

Inoltre, in base al Regolamento 883 cit., tra le prestazioni di sicurezza sociale cui si applica il  principio di parità di trattamento sono incluse anche quelle prestazioni definite dall’art. 70 come “miste”, perché da un lato hanno carattere assistenziale in quanto non sorrette da meccanismi contributivi e finanziate dalla fiscalità generale, dall’altro lato costituiscono diritti soggettivi, in quanto i criteri e le condizioni per l’accesso sono regolati dalla normativa interna senza margini di discrezionalità in favore delle Pubbliche Amministrazioni. Tali prestazione miste rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento alla ulteriore  condizione che siano incluse nell’allegato II bis (ora allegato X inserito nel Regolamento applicativo (CE) n. 988/2009), il quale – per quanto concerne l‘Italia –  comprende appunto l’assegno sociale.

L’insieme delle normative citate (direttiva 2004/38; Regolamento 883/04; Dlgs 30/07) consente dunque di concludere che per i familiari extra-UE di cittadini comunitari o italiani l’erogazione dell’assegno sociale è soggetta al vincolo di parità.

A fronte di ciò, il requisito dei dieci anni continuativi di residenza in Italia si prospetta invece come contrario a tale principio perché più facilmente soddisfatto dai cittadini italiani rispetto agli stranieri (cosa che il Tribunale di Brescia da giustamente per scontato essendo pacifico che la percentuale di Italiani che risiedono in Italia da più di 10 anni è più alta della percentuale di stranieri che hanno lo stesso requisito).

Poiché dunque il requisito si prospetta come indirettamente discriminatorio, occorrerà ulteriormente verificare se detta disparità di trattamento sia giustificata da qualche finalità legittima. Anche su questo punto la risposta del Tribunale è negativa, sicchè il Giudice conclude nel senso che il requisito decennale integra una discriminazione indiretta per nazionalità con riferimento ai familiari di cittadini comunitari o italiani.

Il riferimento alla discriminazione indiretta rende palese che il Tribunale aveva ben chiaro che il requisito decennale è previsto per tutti i richiedenti, indipendentemente dalla nazionalità (se fosse richiesto solo agli stranieri, si configurerebbe come discriminazione diretta); va tuttavia segnalato che nella prima parte dell’ordinanza viene erroneamente affermato –    evidentemente per mero errore materiale –  che il requisito sarebbe richiesto solo agli stranieri.

Sulla questione – in parte diversa – del requisito del permesso di lungoperiodo per l’accesso all’assegno sociale si è già pronunciata la Corte Costituzionale con ordinanza 197/2103: nel rigettare la questione perché manifestamente inammissibile, la Corte, si è espressa – con mero obiter dictum – anche sul requisito dei dieci anni di residenza. In quell’occasione la Corte ha affermato che “il nuovo e più ampio limite temporale richiesto ai fini della concessione del beneficio (i dieci anni di residenza) risulta riferito non solo ai cittadini extracomunitari,  ma anche a quelli dei Paesi UE e financo … agli stessi cittadini italiani”, pertanto non “sussisterebbe una disparità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani, posto che il requisito temporale del soggiorno riguarderebbe tutti i potenziali fruitori del beneficio”. E ancora “la previsione di un limite di stabile permanenza (per dieci anni) sul territorio nazionale come requisito per ottenere il riconoscimento del predetto beneficio appare adottata … sul presupposto … di un livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato”.

Tali affermazioni – rese in un giudizio che non aveva oggetto la questione del requisito decennale e che comunque si è concluso con un’ordinanza di manifesta inammissibilità – non risolvono, come giustamente ha ritenuto il Tribunale di Brescia, la questione della legittimità dei dieci anni di residenza: la giurisprudenza costituzionale in materia di radicamento sul territorio e requisiti di residenza è infatti molto più articolata e complessa (cfr. ad esempio C. Cost 168/2014)

Nel marzo scorso la questione è stata riproposta dal Tribunale di Bologna con l’ordinanza 13 marzo 2015 che, tuttavia, non tiene conto della prescrizione paritaria imposta dall’art. 12 direttiva 2011/98.

Tale articolo come noto, prevede che i cittadini di Paesi terzi ammessi in uno Stato membro a fini diversi dall’attività lavorativa, ai quali sia consentito lavorare, beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto riguarda i settori della sicurezza sociale così come definiti dal regolamento CEE 883/2004 e come si è visto il Regolamento 883 non solo si riferisce alle prestazioni di vecchiaia (art 3 c. 1 lett d) ma anche alle prestazioni miste ex art. 70 (tra cui come visto, anche per espressa previsione dell’allegato X Reg. 988/2009 rientra l’assegno sociale).

Purtroppo la Corte costituzionale non potrà esaminare la questione sotto il profilo del contrasto con la Direttiva non avendo il giudice remittente sollevato il problema: è tuttavia   evidente che tale quesito è assolutamente pertinente e dovrà quindi essere affrontato dai giudici di merito come peraltro già avvenuto con riferimento ad altre prestazioni (cfr. con riferimento alla indennità di maternità ex art. 74 Dlgs 151/01 Trib. Alessandria, 9 dicembre 2014)

Tribunale di Brescia, 14 ottobre 2015, est. Pipponzi (ord,), S.F. e S. N. (avv.ti Guariso e Neri) c. INPS

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