Lo scorso 18 gennaio il Tribunale di Milano ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento  intimato ad una giornalista che, in una mail inviata ai colleghi, si riferiva al direttore definendolo un uomo che “non conosce la vergogna”.

Il giudice ha ritenuto che la sanzione del licenziamento per giusta causa fosse palesemente non proporzionata rispetto all’infrazione contestata, riconducibile, secondo la parte datoriale, ad un comportamento offensivo e irrispettoso della dipendente.

Le affermazioni della giornalista sono valutate dal giudice come prive di quella potenzialità lesiva della professionalità del direttore tale da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro. Anzi, in quello specifico contesto, nel quale la giornalista commentava con i colleghi determinate e circoscritte scelte organizzative del direttore, la lavoratrice ha legittimamente esercitato il proprio diritto di critica, o comunque di mancata condivisione, delle scelte aziendali.

Appare sempre necessario valutare, nei casi in cui venga contestata un’offesa o una diffamazione del lavoratore, se la condotta sia stata tale da giustificare una frattura, una compromissione irrimediabile del vincolo fiduciario. Nel caso di specie, in cui viene preso in considerazione anche il rapporto intercorrente tra direttore e dipendente durante il rapporto di lavoro, non erano mai emersi comportamenti significativi e rilevanti sotto il profilo disciplinare, né erano state adottate sanzioni nei confronti della ricorrente.

CICCIOLI-MONDADORI-Sentenza 20-13 del 18-1-2013 , tribunale di Milano

 

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