La Corte d’Appello di Brescia ha rigettato l’appello proposta dall’avv. Taormina contro l’ordinanza del Tribunale di Bergamo n. 791/14 del 06 agosto 2014.

Tale ordinanza aveva dichiarato il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dall’avv. Taormina durante la trasmissione radiofonica “La Zanzara” nel corso della quale lo stesso aveva più volte affermato di non volere persone omosessuali all’interno del proprio studio professionale e di fare a tal fine “una cernita adeguata in modo che questo non accada”. Il Tribunale aveva anche ordinato la pubblicazione dell’ordinanza sul Corriere della Sera e condannato l’avvocato al pagamento in favore dell’associazione ricorrente, l’Associazione Avvocatura per i Diritti LGBTI- Rete LENFORD difesa dagli avvocati Caterina Caput, Alberto Guariso e Ippolita Sforza, della somma di 10.000 euro a titolo di risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, dopo aver rigettato il motivo di gravame inerente la mancanza di legittimazione dell’Associazione essendo la stessa, senza alcun dubbio, da ricondursi nel novero delle associazioni rappresentative dell’interesse leso di cui all’art 3 del d.lgs 216/2003 e altri motivi inerenti al rito, ha ritenuto di non poter accogliere nessuna doglianza anche nel merito.

Ha statuito, infatti, richiamando le sentenze della Corte di Giustizia Feryn NY C-54/07 e Asociatia Accept C-81/12, che la volontà di discriminare manifestata pubblicamente dal datore di lavoro (come è avvenuto nel caso di specie avendo l’avv. Taormina dichiarato di effettuare una precisa scelta nell’assunzione o reclutamento del personale escludendo gli omosessuali) integra, ai sensi dell’art 2 d.lgs 216/2003, una fattispecie discriminatoria, senza che questa sia condizionata dalla circostanza che la volontà stessa sia stata eseguita. Ciò dal momento che il pregiudizio per gli aspiranti lavoratori (in questo caso avvocati o praticanti avvocati) può essere anche solo potenziale.

Secondo la Corte, inoltre, l’art 2 d.lgs 216/2003 non interferisce con i principi costituzionali e in particolare con l’art 21 Cost. come sostenuto invece dall’appellante. La libertà di manifestazione del pensiero non può spingersi infatti fino a violare altri principi costituzionali tutelati e, in particolare, quelli di cui agli articoli 2,3,4 e 35 Cost. che stanno alla base delle norme in materia di discriminazione nell’accesso al lavoro.

Per una disamina più completa si rinvia alla lettura della sentenza.

Corte d’Appello di Brescia, 11 dicembre 2014 (sent.), pres. Nuovo, est. Finazzi, Taormina (avv. Giuliani e Merlini) c. Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (avv. Caput, Guariso, Sforza)

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