Inammissibili le questioni di costituzionalità sollevate senza esaminare le norme nazionali e comunitarie che già consentono di riconoscere il diritto all’assegno di maternità di cui all’art. 74 d.lgs 151/2001 ai titolari di permesso unico lavoro e a titolari di permesso umanitario.

Con ordinanza 95/2017, depositata in data 4 maggio 2017, la Corte Costituzionale ha deciso sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Bergamo e di Reggio Calabria (rispettivamente ordinanza 30.11.2015 e ordinanza 30.3.2015). Entrambe le questioni sono state dichiarate manifestamente inammissibili per omessa considerazione del diritto comunitario o nazionale che il Giudice avrebbe dovuto applicare (o quantomeno analizzare).

Quanto alle ordinanze del Tribunale di Bergamo le straniere interessate erano titolari di permesso unico lavoro e avevano dunque invocato il diritto alla parità di trattamento di cui all’art. 12 direttiva 2011/98. La Corte ha preso atto che detto articolo “attraverso il richiamo all’art. 3, paragrafo 1, lettera b), riconosce (al titolare di permesso unico) lo stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro per quanto concerne i settori della sicurezza sociale come definiti dal regolamento (CE) n. 883/2004”.

Dunque, pur senza poter definire la questione (appunto perché disciplinata dal diritto comunitario, la cui applicazione spetta al giudice ordinario) la Corte fornisce un importantissimo avvallo alla tesi – sempre sostenuta da ASGI – della diretta applicabilità dell’art. 12 e della conseguente disapplicazione della norma nazionale contrastante che esclude il titolare di permesso unico lavoro da prestazioni di sicurezza sociale (nella specie, l’art. 74 dlgs 150/01) .

Per quanto riguarda invece il diritto all’assegno di maternità da parte della titolare di permesso umanitario – questione sollevata dal Tribunale di Reggio Calabria – la Corte ha affermato che il giudice rimettente avrebbe dovuto considerare l’art. 34, comma 5, Dlgs 19.11.07 n. 251 che “riconosce agli stranieri con permesso di soggiorno umanitario i medesimi diritti attribuiti dal decreto stesso ai titolari dello status di protezione sussidiaria, tra i quali, ai sensi dell’art. 27, comma 1, è annoverato il diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria”.

Da segnalare che in questo secondo giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri era intervenuta sostenendo proprio quanto affermato ora dalla Corte e cioè la inammissibilità della questione perché il diritto era già riconosciuto dall’ordinamento interno (appunto il citato art. 34) e dunque l’ipotizzato contrasto con la norma costituzionale non poteva sussistere. Si era cosi già creata una situazione paradossale nella quale l’INPS (ente soggetto alle direttive e al controllo del Ministero del lavoro) affermava – e ha poi continuato ad affermare pur dopo la presa di posizione governativa – una tesi in contrasto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

All’esito di questa importante decisione resta dunque confermato che il giudice ordinario non può sottrarsi alla applicazione del diritto comunitario, che la direttiva 98 contiene una disposizione idonea a dirimere la questione del diritto dei titolari di permesso unico lavoro alla indennità di maternità e infine che i titolari di permesso umanitario hanno diritto quantomeno alle prestazioni sociali introdotte antecedentemente alla norma del 2007 (e dunque sicuramente all’assegno maternità di base e all’assegno famiglie numerose) posto che nel 2007 (con il citato d.lgs 251) il legislatore ordinario è intervenuto sulla normativa precedente con una disposizione parificatrice.

Risulta dunque ancora più importante che le domande per l’assegno di maternità vengano tempestivamente presentate (cioè entro 6 mesi dalla nascita) dalle madri titolari di permesso unico lavoro e di permesso umanitario (anche qualora abbiano partorito prima del riconoscimento da parte della Commissione Territoriale) e che le amministrazioni comunali trasmettano dette domande all’INPS, lasciando poi all’istituto la responsabilità (se davvero vorrà ancora farlo) di porsi in contrasto con il diritto dell’Unione e persino con le stesse indicazioni della Presidenza del Consiglio.

Se sarà cosi, non resterà che procedere con il contenzioso.

L’ordinanza

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